Covid, il virus può danneggiare il cuore anche senza infettarlo
Nel 50% casi cuore infiammato anche solo per reazione indiretta
Il virus SarsCoV2 del Covid-19 può danneggiare il cuore anche senza infettare direttamente il tessuto cardiaco. Lo rivela una ricerca pubblicata sulla rivista Circulation, che ha esaminato specificamente il danno al cuore delle persone con sindrome da distress respiratorio acuto (Ards) associata a SarsCoV2, una grave condizione polmonare che può essere fatale. Per di più, è emerso che i risultati sono rilevanti per diversi organi e anche per virus diversi. La ricerca suggerisce che sopprimere l'infiammazione attraverso trattamenti potrebbe aiutare a ridurre al minimo queste complicanze. Il Covid aumenta il rischio di infarto, ictus e Long Covid: oltre il 50% delle persone con Covid presenta infiammazione o danno al cuore. Tuttavia finora restava un mistero se il danno si verificasse perché il virus infetta direttamente il tessuto cardiaco, o a causa dell'infiammazione generale innescata dalla risposta immunitaria del paziente. I ricercatori si sono concentrati sulle cellule immunitarie note come macrofagi cardiaci, che normalmente svolgono un ruolo critico nel mantenere sano il tessuto ma possono diventare infiammatorie in risposta a lesioni come un infarto o un'insufficienza cardiaca. I ricercatori hanno analizzato campioni di tessuto cardiaco di 21 pazienti deceduti per Ards associato a SarsCoV2 e li hanno confrontati con campioni di 33 pazienti deceduti per cause non legate al Covid. Hanno anche infettato topi con SarsCoV2 per verificare cosa accade ai macrofagi dopo l'infezione. Sia negli esseri umani sia nei topi, hanno scoperto che SarsCoV2 aumenta il numero totale di macrofagi cardiaci che, per di più, diventano infiammatori. Quando i macrofagi non svolgono più i loro compiti normali, che includono il mantenimento del metabolismo del cuore e l'eliminazione di batteri dannosi o altri agenti estranei, indeboliscono il cuore e il resto del corpo, spiega Matthias Nahrendorf, della Harvard Medical School e autore principale dello studio.
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